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Come cambia l’approccio medico nell’era dell’ipertecnologia

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ROMA (ITALPRESS) – Ogni individuo è unico e irripetibile. E in quanto tale, va curato. Anche in medicina l’approccio è fondamentale, soprattutto lo è in anni in cui il medico ha a disposizione un numero incredibile di dati, frutto anche dei tantissimi esami oggi possibili. In questo contesto, è forte la tentazione di fare diagnosi e somministrare cure limitandosi a seguire le raccomandazioni e le linee guida, insomma attenendosi a ciò che è stato individuato per il gruppo, senza porre attenzione all’unicità del paziente. Il dialogo approfondito e l’osservazione attenta, insieme agli esami considerati caso per caso necessari, permettono invece quel fare ipotesi che è la parte importante della professione medica intesa come attività squisitamente umana e ancora lontanissima dalle performance dell’intelligenza artificiale. Sono questi alcuni dei temi trattati da Lidia Rota, ematologa specialista in emostasi e prevenzione delle trombosi, malattie cardiovascolari, malattie della coagulazione ed embolia, nonchè fondatrice e presidente di ALT, l’associazione italiana per la lotta alla trombosi, intervistata da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress.
“L’approccio medico è cambiato tanto, la mia generazione non aveva strumenti – ha esordito la dottoressa – L’ecografia nasce negli anni ’70, la Tac negli anni ’80, la risonanza negli anni 90. Noi avevamo pochi strumenti, mani e occhi. Imparavamo dai nostri pazienti, li guardavamo, lo toccavamo e imparavamo. Oggi c’è una tale quantità di accessi alle informazioni che il rischio che si sta correndo è di andare dritti alla fonte dell’informazione e prendere i dati in modo passivo – ha puntualizzato Rota – Inscatolare i pazienti in una categoria trattandoli in modo uniforme non è il giusto approccio, ogni paziente, invece, è diverso dall’altro, e poi dobbiamo metterci la nostra esperienza che fa parte della competenza. Queste facilitazioni rischiano di dare un’impostazione molto meccanicistica”.
La capacità di fidelizzare il paziente e di prendersi il tempo necessario sono aspetti sempre più rari nel mondo della sanità: “Il rischio è che il paziente diventi un pò più neutro e non si leghi al suo medico – ha spiegato – Deve invece ascoltarlo, capirlo e diventare parte della cura. Il servizio sanitario nazionale con un approccio simile avrebbe un vantaggio, perchè vorrebbe dire dare più tempo al medico quando fa una prima visita, fare un investimento che darà una buona rendita. Il paziente non si sentirà trattato come un numero, forse assisteremmo un pò meno agli eventi orribili che capitano nei pronto soccorso – ha sottolineato riferendosi ai casi sempre in aumento di aggressioni nei confronti dei medici – Il sistema di gestione degli ospedali non permette di tornare a una medicina personalizzata, questo perchè si devono sempre più contingentare i tempi. Se si parla col paziente, se lo si fidelizza, si prende probabilmente la strada giusta nelle cure: se investi nella qualità del rapporto, ottieni un paziente che ti segue e il sistema sanitario ne giova”. E sull’intelligenza artificiale: “Tutto quello che è innovativo è straordinario, ma dobbiamo stare molto attenti a non farci sopraffare – ha ammonito Rota – Chat GPT accede in modo efficace alle nozioni che circolano e io mi sono chiesta ‘Ma allora non servo più?’, poi ho pensato che in realtà a nessuno interessa avere un rapporto così freddo, è pericolosissimo. L’IA cambierà la vita di moltissimi medici, farà cose straordinarie sulla parte tecnologica, farà follie pazzesche, ma il rischio che corrono i giovani medici è di affidarsi soltanto all’IA e di non metterci più del loro – ha riflettuto la dottoressa – Noi saremo sempre più intelligenti dell’intelligenza artificiale”.
Infine, sul proprio personale approccio in ambito medico nel lavoro di tutti i giorni: “Le mie visite durano come minimo un’ora, devo sapere chi ho davanti, come sta, perchè è arrivato, la famiglia, le medicine che assume e perchè. E poi mi prendo il tempo per analizzare tutto – ha raccontato – Io non amo far fare troppi esami, questo mette il paziente in un circuito che può essere demoniaco. I casi complicati spesso finiscono per essere rimbalzati da un medico all’altro -ha concluso – Oggi abbiamo super specializzazioni che però si dimenticano il quadro di insieme”.

– foto tratta da video Medicina Top –
(ITALPRESS).

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