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New York e non solo, gli Usa misurano la febbre politica dell’era Trump

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di Stefano Vaccara

NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Non sono elezioni presidenziali, ma l’aria che si respira è da resa dei conti nazionale. Domani, milioni di americani voteranno per rinnovare amministrazioni locali, governatori e consigli statali, ma il significato politico va ben oltre i confini di ciascuno Stato. È il primo vero test dell’“America di Trump”, nove mesi dopo il suo ritorno alla Casa Bianca.

Il voto si tiene mentre lo shutdown federale, ormai al trentacinquesimo giorno, si appresta a diventare il più lungo della storia americana, con centinaia di migliaia di dipendenti pubblici senza stipendio. Le urne di New York, New Jersey, Virginia e California diranno quanto profondo è il radicamento del trumpismo nella società americana e se i democratici, nonostante le divisioni interne, riescono ancora a rappresentare una alternativa credibile. La sfida più simbolica si gioca proprio nella città in cui Trump è nato ed è diventato famoso. Qui il protagonista è Zohran Mamdani, 34 anni, deputato dello stato di origini indiane, nato in Uganda e musulmano, candidato sindaco con l’etichetta di “socialista democratico”. Fino a pochi anni fa sarebbe stato impensabile.

Oggi invece Mamdani guida nei sondaggi grazie a una campagna che ha mobilitato giovani, comunità immigrate e movimenti per la giustizia sociale, con un linguaggio diretto e politiche che parlano di trasporti gratuiti, affitti “congelati” e asili gratis. Il suo principale avversario è l’ex governatore Andrew Cuomo, tornato in campo da indipendente dopo lo scandalo delle accuse di molestie sessuali che lo aveva costretto alle dimissioni nel 2021. Cuomo punta su sicurezza e tasse, due temi che risuonano in una parte dell’elettorato moderato, specie a Staten Island e nei quartieri più ricchi di Manhattan. Per lui, una vittoria anche di misura sarebbe il segnale di una reazione conservatrice contro la nuova sinistra urbana. Ma il dato politico più interessante è altrove: la partecipazione. L’affluenza anticipata ha già superato quella del 2021, segno che i newyorkesi sentono il voto come un referendum sull’identità della città in tempi di instabilità federale.

Al di là del fiume Hudson, nel New Jersey, la democratica Mikie Sherrill, ex pilota di elicotteri della Marina e poi procuratrice federale, sfida il repubblicano Jack Ciattarelli, che aveva già tentato in precedenza di essere eletto governatore. È una corsa incerta, che misura l’impatto reale delle politiche economiche di Trump: inflazione che resta alta, tensioni sul lavoro pubblico e sulla sanità, e una crescente sfiducia verso Washington. Sherrill si presenta come la voce pragmatica di chi non vuole nuove guerre culturali, e punta su temi concreti – infrastrutture, scuola, difesa dei diritti riproduttivi – con l’aiuto di un alleato d’eccezione: Barack Obama, tornato in campo per sostenere i candidati democratici negli Stati chiave.

I comizi dell’ex presidente in New Jersey e Virginia hanno riportato entusiasmo tra i giovani e gli afroamericani, due segmenti cruciali che i democratici temevano di perdere. Di contro, Donald Trump non ha partecipato ad alcuna manifestazione pubblica a sostegno dei candidati repubblicani. Ha preferito comunicare via social, alimentando la voce – sempre più diffusa anche tra i conservatori – che il presidente tema un contraccolpo politico in caso di sconfitta.

In Virginia, dove si vota per il governatore, la democratica Abigail Spanberger, ex agente CIA, viene data in vantaggio su Winsome Earle-Sears, attuale vicegovernatrice, afroamericana repubblicana ex marines. La Virginia, cerniera tra Nord progressista e Sud conservatore, rappresenta una cartina di tornasole per il consenso a Trump nel cuore dell’apparato federale. Una vittoria di Spanberger sarebbe letta come un “no” al modello di governo aggressivo e polarizzante imposto da Washington.

Nello Stato più ricco e popolato degli USA, la California, si vota per un referendum che ridisegnerà i collegi elettorali della Camera dei Rappresentanti. Dietro la formula tecnica si nasconde una battaglia politica decisiva: la mappa dei distretti californiani può determinare chi controllerà il Congresso nel 2026. I democratici sperano che il nuovo disegno riequilibri le perdite subite negli Stati repubblicani; i conservatori gridano al “gerrymandering progressista”.

Le elezioni di domani non cambieranno la Casa Bianca, ma potrebbero certificare l’umore dell’America in vista delle elezioni di midterm tra un anno. Se i democratici riusciranno a vincere in New Jersey e Virginia e un socialista “rivoluzionare” New York, apparirà chiaro che il consenso di Trump è in discesa. Se invece vinceranno i repubblicani e a NYC l’italo americano Cuomo recuperasse lo svantaggio fino a ribaltare i pronostici, il messaggio sarà che l’ex presidente resta il punto di riferimento di una parte consistente del Paese che approva le sue politiche seppur divisive. L’America, ancora una volta, vota su se stessa.

-Foto IPA Agency-
(ITALPRESS).

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