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Psiconcologia e metodo Simonton, i benefici sui malati di cancro

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MILANO (ITALPRESS) – La diagnosi di cancro provoca emozioni intense, spesso dirompenti: paura, ansia e disperazione impattano sulla condizione mentale e fisica del paziente. Secondo la psiconcologia, infatti, il benessere mentale e quello fisico sono strettamente correlati. Migliorare l’equilibrio emotivo e psicologico del paziente può quindi influenzare positivamente l’efficacia delle cure mediche e la qualità della vita. Per questo, è innanzitutto necessario prendere coscienza delle proprie emozioni e accettarle, dando così il via a un processo di elaborazione che coinvolge il malato e le persone che ha attorno, aumentando resilienza, flessibilità e la possibilità di concepire nuove prospettive e nuovi significati. Sono questi alcuni dei temi trattati da Elena Canavese, counselor specializzata nel trattamento dei malati oncologici, in particolare con il metodo psiconcologico Simonton, intervistata da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress.
“La psiconcologia è l’insieme di quegli strumenti che servono alla persona per essere sostenuta nel percorso di cura, guarigione e trattamenti clinici – ha esordito – E’ un sostegno ulteriore a livello psicologico ed emotivo. Quando una persona riceve una diagnosi infausta, la prima cosa che arriva è la paura e quindi lo smarrimento. Il nostro obiettivo è aiutare la persona a essere consapevole di vivere una situazione di stress, quindi quello di invitare la persona a redigere la lista delle cose che producono stress, che possono essere persone, situazioni, luoghi – ha spiegato Canavese – E accanto a queste cose c’è la lista della gioia, con cui aiutiamo la persona a individuare quelle cose che producono una soddisfazione, le aiutiamo a trovare quelle cose magari già presenti nella loro vita e per loro significative”.
Alla base di queste tecniche c’è il metodo Simonton: “Nasce come un programma di aiuto per tutte quelle persone che vivono la malattia oncologica o quelle croniche, e che vogliono partecipare attivamente al loro percorso di cura – ha sottolineato – E’ stato messo a punto dall’oncologo americano Simonton, che a partire dagli anni ’60 ha iniziato a osservare i pazienti e si è reso conto che le persone che avevano sviluppato fiducia, buone ragioni per vivere e coltivato la speranza, avevano risultati in termini di prognosi e sopravvivenza diversi dagli altri. E’ difficile ma semplice, lui aveva capito che il malato oncologico ha la necessità di avere strumenti facili a disposizione, che gli diano la reale percezione di poter apportare un cambiamento nella propria vita e nel minor tempo possibile – ha ribadito Canavese – Simonton si è chiesto come poter aiutare chi in modo autonomo non ha dentro quel senso di fiducia e speranza, affinchè possano svilupparsi e incidere nel proprio percorso di cura e guarigione. E’ partito indagando e sperimentando, si è affidato alla psicologia, alle tecniche di rilassamento, alla riduzione dello stress”.
E sulle cosiddette “convinzioni malsane e limitanti”: “E’ uno degli strumenti che usiamo per aiutare la persona a uscire da quella gabbia – ha raccontato – Per esempio, la frase ‘non guarirò maì noi aiutiamo a trasformarla non in un pensiero positivo, ma in un pensiero sano. Il pensiero positivo sarebbe ‘guarirò sicuramentè, ma non possiamo certo saperlo, il pensiero sano invece è ‘posso guarirè, indipendentemente da come ci si sente in quel determinato momento, e ‘posso anche non guarirè, e in ogni caso potendo vivere pienamente la vita di ogni giorno”. “Praticando a lungo un pensiero, se è una condizione sana e radicata, questo diventa una nuova abitudine. Noi siamo come degli allenatori – ha riconosciuto sul ruolo dei terapeuti psiconcologici – Sollecitiamo la persona a creare una ritualità, e a integrarla: solo quando è integrata, questi pensieri possono diventare abitudini e atteggiamenti nuovi e sani”.
Infine, sull’importanza di prendersi cura di sè, anche con i gesti più semplici: “C’è un gioco che pratichiamo con le persone che si rivolgono a noi, ovvero farsi un puntino sulla mano – ha concluso Canavese – Tutte le volte che l’occhio cade lì, dobbiamo rallentare e chiederci ‘come mi sento in questo momento?’ e ‘cosa posso fare per me per sentirmi meglio?’ Soddisfare un bisogno, come anche solo bere un bicchiere d’acqua, è un piccolo modo per avere cura di noi”.

– foto tratta da video Medicina Top –
(ITALPRESS).

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